Gennaio 2025

Il trapianto di insule pancreatiche, contenenti cellule B in grado di produrre insulina, rappresenta uno dei campi di ricerca applicata alla clinica da quasi mezzo secolo, per la cura radicale del diabete mellito di tipo 1 (T1D). Attualmente i pazienti affetti da T1D devono assumere insulina, praticata con iniezioni quotidiane multiple o tramite microinfusori semi-automatici, per mantenere i valori glicemici entro un range accettabile, per tutto l’arco delle 24 ore.

Il trapianto di insule di Langerhans separate e purificate dal pancreas di donatori umani, potrebbe risolvere il problema posto dal T1D, sostituendo le cellule B distrutte dalla malattia autoimmunitaria con tessuto fresco e vitale. Tuttavia a parte la scarsità di donatori umani di pancreas da cui estrarre le insule, che non potrebbe mai soddisfare la richiesta, considerando che nel mondo vi sono attualmente 10 milioni di pazienti con T1D, c’è il serio problema del rigetto immunitario del tessuto trapiantato, attualmente contrastabile con l’impiego di farmaci immunosoppressori potenti ma non esenti da rischi anche importanti, da eseguire per tutta la vita.

Una buona notizia nel merito del contrasto alla risposta immunitaria al tessuto insulare trapiantato viene da un comunicato della Sana Biotechnology, una Biotech Company degli USA che in collaborazione con la Università di Uppsala (S), gruppo del Prof. Carlsson, ha messo a punto un nuovo metodo per rendere le cellule da trapiantare bio-invisibili, e cioè non riconoscibili dal sistema immunitario dell’ospite. In breve, le insule trattate con il metodo sono state iniettate con una semplice iniezione intramuscolare nell’avambraccio di un paziente con T1D. A distanza di un mese dall’iniezione non vi sono stati segni di rigetto, non solo ma si è riscontrata la presenza di C-peptide e cioè di una parte della molecola insulinica prodotta dalle cellule impiantate. 

Si tratta di un passo molto importante verso quella nuova strategia denominata “immune evasion” cioè la possibilità di evadere la risposta immunitaria dell’ospite nei confronti di cellule e tessuti trapiantati tra individui diversi senza dover ricorrere all’immunosoppressione farmacologica generalizzata con tutti i rischi associati.

Se questa osservazione fosse confermata nel tempo ed allargata ad una più ampia casistica clinica, si aprirebbe una nuova prospettiva per i trapianti cellulari, eventualmente espandibile anche alle cellule staminali, per la terapia cellulare e molecolare sostitutiva per il T1D ed altre patologie croniche.

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