CONGRESSO MONDIALE DELLE TRE SOCIETA’ SCIENTIFICHE RIUNITE, SAN DIEGO, U.S.A. 26-29 Ottobre, 2023.

CONGRESSO MONDIALE DELLE TRE SOCIETA’ SCIENTIFICHE RIUNITE IPITA (International Pancreas and Islet Transplantation Association), IXA (International Xenotransplantation Association), e CTRMS (Cell Transplantation and Regenerative Medicine Society) SULLE NUOVE FRONTIERE DELLA RICERCA SULLA TERAPIA CELLULARE E MOLECOLARE DEL DIABETE MELLITO DI TIPO 1 ED ALTRE MALATTIE CRONICHE, SAN DIEGO, U.S.A. 26-29 Ottobre, 2023.

Si è da pochi giorni tenuto a San Diego (USA) un grande ed importante Congresso mondiale che ha veduto riunite le tre Società Scientifiche Internazionali, IPITA, IXA e CTRMS, evento di per sé unico, che sovrintendono a tutta la ricerca e alle contestuali applicazioni cliniche in tema di terapia cellulare e molecolare per il diabete mellito di tipo 1 (T1D) ed altre malattie croniche e degenerative.

Le tre Società scientifiche hanno deciso di organizzare un Congresso congiunto, in era post-COVID, per l’esigenza di comunicare i progressi scientifici e tecnici della ricerca, dopo gli anni della pandemia, incluse le nuove terapie sperimentali per quadri morbosi specifici.
Gli argomenti trattati in quattro giornate piene di lavori, hanno riguardato il trapianto di organi e tessuti normali e bioibridi, la descrizione di vari tipi cellulari, incluse le cellule staminali di ultima generazione, e di biomateriali innovativi per la fabbricazione di micro- e macro dispositivi bioartificiali (microcapsule, “scaffolds” e 3D “bioprinting”) impiegati per sostenere fisicamente ed immuno-proteggere cellule
e tessuti trapiantati senza la necessità di trattare i riceventi con immunosoppressione farmacologica generalizzata. Quest’ultima, pur garantendo la prevenzione del rigetto immunitario da parte dell’ospite, è gravata da importanti effetti collaterali per il paziente, anche considerando il fatto che dovrebbe essere continuata per tutta la vita.

La Società scientifica IPITA, ha come sua “mission” scientifica la cura radicale del T1D e sia pure ancora in casi limitati, del diabete di tipo 2 (T2M, non insulino- dipendente), mediante il trapianto di organi pancreatici interi o insule pancreatiche estratte dagli organi di donatori. Le insule contengono infatti le cellule Beta a cui spetta il compito di secernere insulina, controllando così automaticamente, minuto
per minuto, gli elevati valori glicemici del paziente diabetico che vede alla base della sua malattia appunto la distruzione autoimmunitaria (caso del T1D) e/o la inattivazione funzionale delle cellule Beta (caso del T2D). In assenza di dispositivi bioartificiali, entrambi gli approcci (trapianto di pancreas intero e quello delle insule pancreatiche) richiederebbero necessariamente, come sopra menzionato, regimi di
terapia farmacologica immunosoppressiva generalizzata per evitare il rigetto immunitario da parte dell’organismo ospite, nonché la ricorrenza della malattia autoimmune.

Per il trapianto di pancreas i dati comunicati hanno dimostrato una significativa flessione dei casi eseguiti in tutto il mondo, anche perché, a parte la carenza cronica di donatori d’organo, il trapianto dell’intero organo pancreatico rappresenta un intervento chirurgico maggiore, ancora gravato da rilevanti effetti collaterali, inclusa la perdita funzionale della funzione pancreatica endocrina a distanza di tempo. Si tratta di un approccio riservato a casi particolarmente seri di diabete poco controllabile con i mezzi convenzionali, soprattutto quelli in cui il
paziente oltre che diabetico è anche portatore di insufficienza renale terminale, e necessita di un trapianto di rene. In effetti, i casi più frequenti riguardano il trapianto combinato di rene e pancreas.

Si tratta di un approccio che ha mostrato una flessione della casistica internazionale in parte, ma non solo, relata alla pandemia COVID. In tale contesto, restano più attivi i trapianti di insule pancreatiche estratte da donatori d’organo, soprattutto in pochi e selezionati Centri del Nord America (USA e Canada) ed Europei. Nonostante l’inderogabilità dai regimi di immunosoppressione farmacologica (che peraltro si avvale oggi di agenti più selettivi e meno tossici rispetto al passato) impartiti ai pazienti accettori dei trapianti di insule pancreatiche, eseguiti da soli, o come per il pancreas intero, in associazione ad un trapianto di rene, se il preparato insulare è sufficientemente puro e
sostanzioso in termini di massa insulare funzionale, numerosi casi hanno mostrato una buona risposta al trattamento con sospensione della terapia insulinica. Si tratta peraltro, a livello globale, di casi comunque limitati a pochi Centri, rispetto alla comunità dei pazienti affetti da T1D, soprattutto a causa della scarsa disponibilità di donatori d’organo, ma anche per il costo del procedimento in sé, che nella gran
parte dei casi non è rimborsabile da parte dei vari sistemi sanitari. Si è comunque stabilmente dimostrata la “proof of principle” del sistema che nelle migliori condizioni può funzionare e quindi alleviare il paziente dalla necessità di auto- iniettarsi ogni giorno varie dosi di insulina.

Proprio per contrastare almeno uno degli ostacoli al successo dei trapianti di tessuti e cellule insulino-secernenti derivati da organi di donatori umani, la IXA propone l’impiego di sorgenti tessutali non umane: in tal senso, e soprattutto per applicazioni al T1D, un donatore non umano accettabile è rappresentato dal suino. In effetti, il suino secerne una molecola insulinica molto simile a quella umana, tanto che fino a diversi anni fa (e tuttora in alcuni Paesi con scarse risorse economiche) l’insulina umana è stata impiegata estesamente per il trattamento dei pazienti con T1D oltre che di quelli con T2D, non più responsivi alla terapia con farmaci orali. Ovviamente per evitare la risposta di rigetto immunitario, in questo caso iperacuto, dato che si tratta di trapianto di organi e tessuti tra specie differenti (xenotrapianto), è ormai necessario adottare sofisticati approcci, peraltro ancora sperimentali, ma sempre più efficaci, che impiegano sistemi avanzati di immunosoppressione farmacologica, o dispositivi fisici (es. microcapsule e “scaffolds” macroscopici) che evitano il
contatto fisico tra tessuto trapiantato e sistema immunitario dell’ospite, o infine interventi di ingegneria genetica in grado di “umanizzare” gli organi/tessuti suini.

I suini “umanizzati” rappresentano un importante avanzamento della scienza trapiantologica, per ovvi motivi poiché rappresenterebbero una sorgente pressoché inesauribile per trapianti umani. Nel corso del Congresso, al riguardo, è stata comunicata la prima esperienza clinica di trapianto di cuore da suino a uomo con risultati allo stato promettenti. Altra caratteristica che non dovrebbe mai mancare
per l’uso di organi/tessuti suini nell’uomo, è lo status Specific Pathogen Free (SPF) che riguarda la completa assenza di contaminanti microbici, ottenuto con la nascita e l’allevamento degli animali SPF in ambienti sterili e quindi indenni da qualsiasi infezione.

Su questo filone di ricerca, importanti avanzamenti sono stati comunicati dalla CTRMS che studia le tecnologie avanzate per la terapia cellulare e molecolare e rigenerazione tessutale in campo diabetologico e di altre patologie croniche. Ovviamente un ruolo principe in questo complesso di ricerche è rivestito dalle cellule staminali sia embrionali che adulte (tra queste ultime in particolare quelle
inducibili alla pluripotenza). Va da se che la medicina rigenerativa rappresenta il futuro per la terapia sostitutiva di organi, tessuti e cellule danneggiati dai processi morbosi. Sono stati comunicati in particolare dati interessanti di ricostruzione d’organo, a partire da una base in cui si utilizza l’”infrastruttura” di un organo e cioè il complesso di membrane e rivestimenti che incorpora le cellule specifiche a cui è
demandata una funzione selettiva. Per fare un esempio, si prende un polmone che viene “decellularizzato” ovvero privato di tutte le sue componenti tessutali attive (vasi, cellule alveolari, bronchi ecc) lasciando soltanto la matrice di base.

Su questa verranno innestate cellule staminali che cresceranno in un ambiente favorevole 3D, e che a seconda della loro natura, assolveranno a compiti funzionali specifici. Si tratta quindi di organi ricostruiti ex novo di cui sono stati presentati vari esempi
sperimentali ma molto promettenti. Sulla stessa lunghezza d’onda sono le stampanti 3 D: brevemente, come una normale stampante a getto d’inchiostro, il 3D “bioprinter” è in grado di accogliere cellule (preferenzialmente staminali ma non solo) che vengono prima amalgamate in polimeri artificiali o bioinks (“bio- inchiostri”): il complesso di cellule/bioink verrà poi “stampato” non in un foglio di
carta come avviente per una stampante normale, ma in un bio-paper polimerico comandato da un sistema computerizzato. Per fare un esempio pratico che noi stiamo attualmente studiando anche nel nostro Laboratorio, in collaborazione con la Facoltà di Ingegneria della nostra Università, è possibile stampare e ricostruire lesioni profonde della pelle con l’impiego di cellule staminali umane mesenchimali
adulte che riproducono fedelmente la morfologia della cute e del sottocute, rigenerando il tessuto danneggiato (nel topo da esperimento con una ferita profonda indotta artificialmente abbiamo ottenuto la completa ricostruzione di cute e sottocute).

Una tipica applicazione di questo innovativo approccio del “piede diabetico” potrebbe essere la riparazione di ulcere diabetiche profonde tipiche del “piede diabetico” per alterazioni vascolari e neurologiche associate alla malattia in numerosi casi. Teoricamente con tale apparato è possibile ricostruire anche organi interi, come è stato fatto alla Wake Forest University di Winston Salem, USA dove è
stata neo-generata una vescica umana. Altro risultato importantissimo è stato comunicato dalla Vertex Inc. una Compagnia Biotecnologica statunitense, che su permesso della Food and Drug Administration degli USA, ha eseguito i primi trapianti di cellule di embrioni umani che sono state condizionate, con particolari procedimenti sperimentali, a diventare elementi in grado di produrre insulina.

I primi 6 pazienti a distanza di molti mesi dal trapianto delle cellule staminali embrionali umane o hESC, nel fegato, e sotto immunosoppressione farmacologica, per evitare il rigetto immunitario, hanno iniziato a produrre insulina, portando in due casi alla sospensione del trattamento con insulina esogena. Anche gli altri casi stanno mostrando di produrre insulina endogena in studi di follow-up in corso.

Si tratta di una promessa per il futuro approvvigionamento di cellule staminali insulino-secernenti, peraltro con due paletti ineludibili:

1) le cellule di embrioni umani non sono eticamente accettabili, e quindi impiegabili nel nostro come in molti
Paesi internazionali;

2) è necessario validare altre strategie per immuno-proteggere questi trapianti cellulari che non siano l’immunosoppressione farmacologica
generalizzata per quanto sopra menzionato.

Potenziali soluzioni, discusse nel Congresso, sono rappresentate da:

1) impiego di cellule umane adulte indotte alla pluripotenza (hiPSC) e successivamente condizionate a produrre insulina;

2) impiego di microcapsule o altri dispositivi di immuno-barriera onde evitare il contatto fisico tra le cellule impiantate ed il sistema immunitario dell’ospite evitando in tal modo il rigetto immunitario.

Entrambi questi approcci sono studiati nel nostro come in altri Laboratori internazionali.

A questo importantissimo ed unico (vista la presenza di tre Società Scientifiche Internazionali riunite) Congresso ha partecipato anche il nostro Gruppo di Ricerca rappresentato dal Laboratorio per i Trapianti Cellulari Endocrini ed Organi Bioibridi (LTCEOB) dell’Università di Perugia (UNIPG), con cui la Fondazione per la Ricerca per il Diabete (DRF) lavora in collaborazione in forza di un Protocollo d’Intesa firmato dal Magnifico Rettore, Prof. Maurizio Oliviero per UNIG e dal Prof. Riccardo Calafiore presidente di DRF, poco meno di un anno fa e valevole per 5 anni rinnovabili.

Calafiore, in una comunicazione orale selezionata tra le centinaia pervenute, ha presentato i dati del Laboratorio sulle microcapsule di alginato di sodio e poliornitina (AG/PLO), generate come prototipo nel 1987 dal LITCEOB e negli anni successivi implementate e perfezionate, soprattutto nella formulazione e purezza dei polimeri impiegati. Le microcapsule, avvolgendo le cellule (insule pancreatiche
per il diabete, cellule staminali ecc), forniscono una barriera altamente biocompatibile e selettivamente permeabile, che protegge le cellule trapiantate dall’attacco del sistema immunitario ospite. Dopo molti anni di studi in vitro e pre- clinici in modelli animali di diabete spontaneo (topi NOD) e/o indotto in modo artificiale, l’Istituto Superiore di Sanità concesse al nostro Istituto il permesso di eseguire i primi trapianti di insule pancreatiche umane microincapsulate in 4 pazienti con T1D di lunga data, non immunosoprressi nel 2003.

Si trattò della prima esperienza mondiale con le microcapsule nell’uomo con risultati assolutamente interessanti. La carenza di insule pancreatiche di donatori umani impone ovviamente il ricorso a cellule staminali adulte che non hanno problemi di approvvigionamento, in quanto raccoglibili in quantità virtualmente illimitate.

Sono stati presentati dal Prof. Calafiore risultati pilota su cellule umane adulte indotte alla pluripotenza (hiPSC) sopra menzionate. Queste cellule hanno mostrato di maturare da elementi pluripotenti e quindi indifferenziati, in cellule differenziate Beta-simili, in grado di produrre e secernere insulina, all’interno delle microcapsule di AG/PLO.

Le microcapsule hanno quindi dimostrato di possedere, accanto alle proprietà immuno-protettive anche doti di micro-incubatore bioartificiale per lo sviluppo e differenziazione delle hiPSC. Calafiore ha inoltre presentato i dati di un recente prototipo di microcapsule generato dal Laboratorio, su cui ha in particolare lavorato uno dei membri, il Dr. Giuseppe Basta. Queste microcapsule di AG/PLO sono state dotate di una permeabilità più ampia, in grado di consentire la diffusione anche di molecole di grande calibro come le Immunoglobuline M. Utilizzando cellule di ibridoma G3C microincapsulate, si è dimostrato il rilascio stabile e controllato, attraverso la membrana capsulare artificiale, di anticorpi monoclonali IgM anti-GITR, una proteina che risiede nei linfociti T in grado, se bloccata, di stabilire uno stato di tolleranza immunitaria, e quindi di fatto prevenire l’aggressione autoimmunitaria.

Siccome il T1D è una malattia appunto autoimmunitaria è stato possibile dimostrare che l’impianto di G3C microincapsulate, secernenti IgM monoclonali anti GITR, in topi NOD, unico modello animale in natura che sviluppa una forma di T1D pressochè identica a quella umana, ha prevenuto completamente l’esordio della malattia. Se tradotto all’uomo, questo sistema potrebbe fornire una sorta di vaccino che
potrebbe prevenire l’esordio della malattia umana. Il sistema potrebbe essere applicato anche ad altre patologie autoimmuni umane.
Calafiore ha inoltre moderato una delle sessioni finali, l’ultimo giorno del Congresso.

Si è in sintesi trattato di una grande ed importante manifestazione scientifica internazionale che ha fatto il punto della situazione di ricerca attuale su vari fronti della terapia cellulare e molecolare con cellule staminali ed altre organo-specifiche, e gettato le basi per futuri progetti in questi rilevanti settori per la cura e prevenzione di gravi patologie croniche umane.

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