CONGRESSO INTERNAZIONALE SULLE NUOVE FRONTIERE DELLA RICERCA SULLA TERAPIA CELLULARE E MOLECOLARE DEL DIABETE MELLITO DI TIPO 1: “STEM CELLS-DERIVED BETA CELLS”. BOSTON, USA.
Riccardo Calafiore, Fondazione per la Ricerca sul Diabete ETS e Università degli Studi di Perugia
A fine Aprile scorso 2023, si è tenuto a Boston (USA), dopo gli anni bui del COVID, il Congresso Mondiale sui precursori staminali pluripotenti delle cellule in grado di produrre insulina. Il tema, affrontato dai maggiori esperti internazionali del campo incluso il sottoscritto, che ha presentato i dati del nostro Laboratorio, Università di Perugia e Fondazione per la Ricerca sul Diabete, ha fatto il punto sulla situazione attuale di questa ricerca avanzata sui trapianti cellulari per l’auspicabile cura radicale del diabete mellito di tipo 1 (T1D).
Oggi questa terribile malattia, che insorge soprattutto, sebbene non necessariamente, in età adolescenziale-giovanile, può contare su un’unica terapia che consiste nella somministrazione di insulina esogena, sotto forma di iniezioni multiple sottocutanee ogni giorno, nel tentativo di mantenere i valori della glicemia entro un range il più vicino possibile a condizioni di normalità. Nel T1D, come noto, si verifica l’autodistruzione su base immunitaria delle cellule Beta, alle quali spetta il compito di produrre insulina: questo importantissimo ormone regola, in condizioni fisiologiche, la glicemia entro valori che oscillano tra 70 e 140 mg/dl in qualsiasi condizione, sia a digiuno che dopo pasto. Ovviamente, dopo la distruzione delle cellule Beta nel corso della malattia, non si avrà più la produzione insulina, con un incontrollato aumento della glicemia. Per evitare le complicanze acute, anche letali, che derivano dall’iperglicemia, l’unica risorsa disponibile consiste nell’impiego di insulina per via iniettiva. Si tratta a tutti gli effetti di un vero farmaco salva-vita, indispensabile alla sopravvivenza del paziente affetto da T1D. Tuttavia, a parte l’ingrato compito di misurare continuamente i valori glicemici (pur con l’aiuto dei recenti modelli di sensori per il glucosio), per stabilire di volta in volta le unità di insulina da somministrare al paziente per regolare la glicemia, specie in corrispondenza dei pasti, la terapia insulinica multi-iniettiva giornaliera espone al rischio di ipoglicemie anche gravi, oltre al fatto che può certamente limitare, ma mai abolire il rischio di sviluppare le gravi complicanze croniche della malattia diabetica (retinopatia, insufficienza renale, malattia cardiovascolare, neuropatia periferica) ad esito non raramente invalidante, per i pazienti colpiti, e talora infausto per la loro stessa sopravvivenza.
Un’alternativa alla terapia insulinica, e ci avviciniamo al tema del Congresso, che mira alla soluzione radicale del problema T1D, risiede nella possibilità di sostituire le cellule Beta pancreatiche distrutte dalla malattia con cellule sane separate dal pancreas di donatori sani (le cellule Beta nel pancreas normale fanno parte di strutture più grandi, definite insule di Langerhans, aggregati di cellule endocrine che rappresentano l’1-2% della massa pancreatica). In studi iniziati negli anni ’80 e successivamente perfezionati in epoca recente, si è dimostrato che il trapianto intraepatico delle insule di Langerhans estratte dal pancreas di donatori, può consentire il ripristino di valori glicemici normali. Tuttavia la casistica internazionale finora comunicata ufficialmente è molto limitata, dal momento che vi sono almeno due ostacoli rilevanti all’applicazione di questa tecnologia su vasta scala:
1) la necessità di sottoporre il paziente trapiantato a terapia immunosoppressiva farmacologica per tutta la vita (con tutti i rischi di tossicità a carico di vari organi ed apparati che ne conseguono);
2) la ridotta disponibilità dei pancreas di donatori, problema peraltro condiviso anche per altri organi come cuore, fegato ecc. La possibilità di avvolgere le insule di Langerhans con microcapsule costruite con polimeri naturali derivati da alghe marine, ha dimostrato, in studi eseguiti e pubblicati dal nostro Laboratorio, in uno studio pilota primo a livello internazionale1,2 di poter contrastare efficacemente il rigetto immunitario dei trapianti delle insule. Resta tuttavia il problema della massa critica delle insule disponibili per il trapianto che è di fatto insufficiente a coprire i fabbisogni di una terapia globale, indirizzata a tutti i pazienti con T1D.
Di qui, ed è stato questo il tema del Congresso, l’idea di impiegare sorgenti virtualmente inesauribili di cellule in grado di sintetizzare e secernere insulina, ovvero il ricorso alle cellule staminali. La cellula staminale, durante lo sviluppo embrionale, ha caratteristiche di pluripotenza, cioè può dare origine a tutti i 200 tipi di cellule presenti nel nostro organismo. Di qui l’idea di mettere a punto tecnologie in grado di sfruttare questa potenzialità per produrre cellule Beta-like, ovvero cellule simili a quelle Beta pancreatiche normali, in grado di produrre insulina in modo pressochè illimitato. Durante il Congresso, sono state passate in rassegna le varie tipologie di staminali potenzialmente in grado di generare precursori delle cellule Beta. Un primo possibile approccio è quello di usare cellule pluripotenti di embrioni umani e condizionarne la differenziazione verso le cellule Beta-like. Ma anche in questo caso il gruppo di Harvard che per primo ha seguito questo indirizzo di ricerca, dimostrando che in effetti è possibile da una cellula embrionale pluripotente ottenere una cellula Beta-like, capace di secernere insulina, mediante sofisticati metodi di differenziamento molecolare, si è trovato di fronte a limiti di performance delle neo cellule Beta-like. Non solo problemi di rigetto immunitario, ma anche imperfezioni durante il processo di differenziamento. Inoltre, in molti Paesi del Mondo Occidentale, incluso il nostro, l’impiego di embrioni umani non è consentito dalla legge. Il problema del rigetto immunitario è stato affrontato sia con i classici farmaci immunosoppressori che con l’impiego di membrane immunoisolanti, in grado di prevenire il contatto tra le cellule incapsulate e il sistema immunitario dell’ospite.
Tali studi, eseguiti anche da altri Autori, come J. Millman e C. Nostro, hanno trovato applicazione soprattutto in modelli animali pre-clinici come i topi diabetici, consentendo di dimostrare il principio che la strada potrebbe essere giusta, sia pure con notevoli limitazioni. Lo stesso gruppo di Harvard, confluito in una grande Azienda Biotecnologica, la Vertex Inc., ha presentato i risultati dei primi due pazienti con T1D trattati con le cellule embrionali diventate B-like, all’interno di biomembrane artificiali e sottoposti ad immunosoppressione farmacologica, uno dei quali ha sospeso la terapia insulinica dopo 270 giorni dal trapianto. Lo stesso gruppo sta inoltre impiegando cellule staminali indotte alla pluripotenza per superare i problemi etici imposti dall’uso di cellule embrionali umane. Brevemente uno scienziato giapponese, N. Yamanaka scoprì nel 2006 (e per questo ricevette il premio Nobel per la Medicina nel 2012) un metodo per rendere una cellula normale e differenziata (ad esempio una cellula e della pelle o del sangue) pluripotente, cioè riportandola di fatto ad uno stato embrionale, mediante l’inoculo dei geni della staminalità (es. Nanog, Oct 4 ecc). In tal modo una cellula normale, diventata pluripotente, può essere ricondizionata a diventare una cellula Beta-like (o tutte le altre possibili cellule dell’organismo), in grado di produrre insulina. Studi con cellule umane indotte alla pluripotenza (iPSC) sono stati presentati da vari Autori, limitatamente alla sperimentazione nel topo. Anche il nostro Gruppo ha presentato dati sperimentali nel topo con le iPSC distribuite all’interno di un nuovo prototipo di microcapsule. Queste ultime hanno dimostrato di rappresentare un modo efficace per contrastare il rigetto immunitario del trapianto, ma anche di frenare/eliminare l’espansione incontrollata delle iPSC verso elementi indifferenziati, potenzialmente tumorali, ed infine di favorire, all’interno di un microambiente 3D favorevole, la maturazione delle staminali verso il tipo cellulare desiderato (nel nostro caso le cellule Beta-like).
I “PRO” delle iPSC, come ribadito al Congresso, sono certamente rappresentati dalla possibilità di produrre in modo illimitato cellule differenziate come nel nostro caso Beta-like cells, in grado di assolvere ai compiti fisiologici a cui sono normalmente preposte, anche se i protocolli di differenziamento delle iPSC debbono ancora essere perfezionati.
I “CONTRO” delle iPSC riguardano:
1) le ingenti spese per la loro produzione ed i tempi estremamente lunghi per la loro maturazione prima dell’impiego;
2) la necessità di prevenire il rigetto immunitario tramite immunosoppressione farmacologica e con l’uso di membrane artificiali immunoisolanti (es. le microcapsule o altri dispositivi);
3) la possibilità che tali cellule possano prendere “strade sbagliate” e dare origine a tessuti neoplastici (le capsule controllerebbero peraltro questo problema).
Si è parlato poi al Congresso di un altro tipo di cellule staminali, stavolta non embrionali ma adulte, che sono apparse più maneggevoli e potenzialmente molto utili a risolvere il problema della cura radicale del T1D. Si tratta delle cosiddette cellule staminali mesenchimali adulte (MSC) che si trovano in molti tessuti dell’organismo, come ad esempio il tessuto adiposo, il midollo osseo, e il cordone ombelicale post-partum, per citare le sorgenti più note. Trattandosi di staminali adulte, le MSC non pongono problemi di natura etica. Le MSC sono dotate di potenti attività immuno-regolatorie, grazie alle molecole che producono, in grado di controllare le risposte immunitarie (con dimentichiamo che il T1D è una malattia autoimmunitaria) in diverse patologie umane. Inoltre pur essendo cellule staminali adulte (e quindi non pluri- ma multipotenti), le MSC possono teoricamente differenziarsi, in presenza di stimoli specifici e sofisticati, verso l’endoderma definitivo, quel foglietto embrionale che poi darà origine tra le altre anche alle cellule del pancreas endocrino e quindi alle Beta cellule. Studi sperimentali in roditori (topo NOD) con un T1D spontaneo autoimmunitario, del tutto simile alla controparte umana, hanno dimostrato che se impiantate precocemente dopo lo sviluppo del T1D le MSC possono arrestare il processo di autodistruzione, consentendo alle cellule Beta ancora sane di riparare le loro lesioni e riprendere a produrre insulina. Un tipo di MSC particolarmente favorevole in tal senso, è rappresentato dalle cellule indovate nella Gelatina di Wharton del cordone ombelicale (che notoriamente dopo il parto viene gettato via come rifiuto biologico).
Queste cellule fisiologicamente si trovano infatti in una posizione privilegiata, ovvero l’interfaccia materno-fetale, che durante la gravidanza sorveglia e contrasta l’eventuale passaggio di antigeni estranei tra madre e feto, a salvaguardia del benessere del nuovo organismo. Proprio per questo, le MSC del cordone ombelicale umano, che si separano con grande facilità, si coltivano e replicano facilmente in vitro, e si possono congelate e scongelare a piacimento, rappresentano una sorgente ideale di staminali da impiegare nel T1D. Inoltre le MSC possiedono anche una capacità pro-rigenerativa di altre strutture come cute e sottocute, e potrebbero essere utilmente impiegate nel trattamento delle ulcere profonde tipiche del piede diabetico, una grave complicanza della malattia, sempre più frequente. Nel nostro Laboratorio, abbiamo sviluppato un metodo per la separazione, purificazione e criopreservazione delle MSC dal cordone ombelicale post-partum che dopo microincapsulamento, abbiamo trapiantato in topi NOD diabetici ed in altri con lesioni profonde della pelle ottenendo risultati ottimi in entrambi i casi3,4. Alcuni Autori cinesi, e recentemente anche scandinavi, hanno infuso le MSC per via venosa in pazienti con T1D con risultati in attuale corso di valutazione.
In sintesi, il Congresso nell’arco dei due giorni della sua durata, ha passato in rassegna di fatto tutti gli aspetti principali della terapia cellulare e molecolare, mediante cellule convenzionali (insule di Langerhans) e staminali, quale alternativa alle iniezioni quotidiane di insulina, per il T1D. Certamente quelli con le staminali sono approcci ancora sperimentali, che si stanno affacciando all’applicazione umana solo di recente, ma che però si inseriscono ed in parte si amalgamano con il più antico filone dei trapianti delle insule di Langerhans, peraltro di recente riammessi agli onori della cronaca per la possibilità di separare questi complessi cellulari da pancreas di cadavere non a cuore battente. Sempre più appare evidente che le cellule staminali e le insule di Langerhans rappresentano quella frontiera per la terapia cellulare radicale per il T1D, in grado di superare i limiti della terapia insulinica convenzionale, in un futuro, si confida, non troppo lontano.